
È abbastanza comune mentre si studia qualcosa aiutarsi con degli esempi per capire meglio quello che abbiamo letto. Ancora meglio se l’esempio ha a che fare con un nostra esperienza personale. Questo perché se vogliamo davvero partecipare ad un processo di apprendimento dobbiamo mettere in gioco non solo la parte “fredda” del nostro intelletto ma anche quella parte che funziona poggiandosi sulle emozioni e sulle esperienze personali. Solo in questo modo le cose ci rimangono effettivamente dentro, non in testa ma proprio dentro: diventano parte di noi.
Questa sorta di legge la conosciamo intuitivamente tutti. Vi sarà forse capitato di aiutare un bimbo a risolvere i primi problemi di matematica. Situazioni ipotetiche in cui la mamma fa la spesa al mercato e bisogna fare la somma di quanto si è speso ai diversi banchi considerando il prezzo per chilogrammo. Quasi sempre intuitivamente, per far entrare il bambino completamente nella questione, il problema di matematica viene calato nella sua realtà facendo finta che invece di occuparci di mele al mercato si stia parlando di caramelle, colori, videogiochi etc etc. Così il bimbo capirà effettivamente l’utilità e il meccanismo delle operazioni matematiche perché immaginerà quelle operazioni al servizio del suo desiderio di comperare ciò che vuole con i soldi che ha a disposizione.
Mai il bimbo in autonomia avrebbe potuto accostare l’esercizio del sussidiario alla propria esperienza di tutti i giorni. E’ l’adulto ad aiutarlo inizialmente a fare nella mente un legame tra queste due situazioni in cui cambiano i contenuti ma non i meccanismi. Una volta fatto ciò, però, esiste una altissima probabilità che il piccolino faccia proprio quel modo di pensare innescando un processo di apprendimento davvero trasformativo. Senza questo passaggio il bimbo imparerebbe tutto a memoria limitando l’effetto delle cose imparate al solo contesto scolastico.
Se siete d’accordo con me fino a questo punto possiamo andare oltre in questo discorso.
Spessissimo persone che vivono momenti di disagio, in riferimento a situazioni specifiche o proprio come condizione stabile della loro vita, mi chiedono consiglio per scegliere qualche libro di psicologia che possa aiutarli.
Tutte le volte in quelle situazioni penso che con la voglia di autocurarsi si arrivi solo ad essere più esperti in qualcosa ma con lo stesso problema di prima oltre alla delusione per non aver ricevuto un vero aiuto nella psicologia.
Per questo motivo si tratta di richieste che assecondo solo in parte, evitando di consigliare libri di psicologia ma piuttosto romanzi o film, sperando che l’immedesimarsi con i vari personaggi delle storie possa aiutare le persone a contattare dentro di loro emozioni ed esperienze, aspetto dì per sé molto importante, piuttosto che conoscere teorie su questi processi.
È sacrosanto che qualcuno abbia un interesse per un argomento e lo approfondisca, anche quello è un modo per occuparsi intellettualmente di questioni molto personali e profonde. Muoversi però sulla fantasia che se si ha un problema lo si risolve istruendosi su cosa significhi o su cosa fare suona un po’ come un azzardo. Questo atteggiamento può diventare una forzatura che lascia fuori la cosa fondamentale e davvero curativa, ovvero il fare esperienza di qualcosa passando dal coinvolgimento emotivo alla riflessione e viceversa in una dialettica inscindibile e davvero trasformativa all’interno di una relazione, quella con il terapeuta.
D’altra parte questo è alla base anche della formazione degli psicoterapeuti stessi che per non essere solo esperti di psicologia vengono coinvolti in prima persona in un percorso di psicoterapia al fine di trovare dentro di loro le cose studiate apprendendo dalla propria esperienza.